sabato 17 settembre 2011

Le 7 regole del combattimento

  1. Spostamento: uscire dalla linea centrale, guadagnare l'angolo;
  2. Arma: colpire la mano che la impugna parando il colpo;
  3. Mano: colpire l'altra mano per evitare contrattacchi;
  4. Colpire in movimento: mentre si esce dalla linea centrale continuare a colpire;
  5. Stima delle circostanze: mentre si esce dalla linea centrale guardarsi alle spalle e valutare eventuali ulteriori pericoli;
  6. Distanza: mantenere la distanza adeguata all'azione (corta, media o lunga che sia) e variarla solo in caso di neccessità;
  7. Occhi: mantenere lo sguardo sul target (e mai sulle mani o sulle armi) sfruttando la visione periferica che è maggior sensibile al movimento;

martedì 19 luglio 2011

Gestione del chaos e Inoculazione di stress

L'apprendimento di un arte marziale deve essere la via attraverso la quale si impara a gestire il chaos del combattimento.
Il metodo di insegnamento è quindi critico perchè si cerca di intrappolare attraverso schemi precisi di tecniche ciò che per natura è fluido ed imprevedibile.
Le dighe sono tra le opere più difficili da realizzare proprio perchè, come ci insegnava il mio professore di scienze delle superiori, "l'acqua passa sempre: non si può bloccarla ma si può decidere dove farla defluire". Lo stesso concetto è insegnato in molte arti marziali.
Come se non bastasse lo stress a cui siamo sottoposti durante uno scontro reale complica ulteriormente le cose azzerando la motricità fine e degradando la capacità decisionale, entrambe conseguenze dell'incremento del battito cardiaco di cui parlerò in un post dedicato.
Per questo in una situazione di forte stress l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è poter scegliere:
imparare troppo tecniche senza studiarne il contesto di applicabilità può essere controproducente.
Meglio saper eseguire 3 tecniche nel giusto contesto spazio-temporale che conoscerne 100 e nel momento della verità fermarsi a pensare "qui è meglio la 37° o la 81°?"
La legge di Hick dice che se le risposte possibili aumentano da una a due il tempo di reazione aumenta del 58% [1]
Mi rendo conto che può essere facile farsi prendere dall'entusiasmo quando ci si approccia ad un'arte marziale completa e complessa come il Kali ma bisognerebbe dare tempo al cervello di interiorizzare le tecniche prima di aggiungerne altre e in questo può fare la differenza il metodo di insegnamento, che dovrebbe prevedere sempre l'inoculazione di stress, tanto decantata da Dave Grossman in "On Combat".
Recenti studi indicano che è più facile riprodurre un task se le condizioni ambientali e psicofisiche sono le medesime di quando si lo si è appreso.
Estremizzando il concetto e usando le parole di un mio caro amico ingegnere dell'ETH potremo dire che "se imparo il francese da ubriaco lo parlerò meglio quando sarò nuovamente ubriaco".
Per questo ho ritenuto molto istruttiva una lezione di Krav Maga che ho seguito l'anno scorso, non tanto per le tecniche viste, a mio avviso lacunose e poco applicabili in un contesto reale (probabilmente per mancanza dell'istruttore e non di certo di un problema intrinseco del sistema usato da uno degli eserciti più addestrati del mondo), ma per l'uso della luce soffusa, della musica alta, degli esercizi a occhi chiusi con scambio di compagno ad insaputa del praticante, degli attacchi imprevedibili durante camminate caotiche di tutti i partecipanti (cosa che ho rivisto su un dvd molto istruttivo di CQC di Joe Hubbard)

Purtroppo per noi la gestione di uno scontro reale e caotico diventa rischiosa se non si ha un adeguato grado di conoscenza della tecnica. Come in molti casi anche qui in medio stat virtus.
L'approssimazione di un sistema caotico soffre del trade-off tra l'accuratezza e la velocità del calcolo.
Immaginiamo di dover percorrere le infinitamente frastagliate coste di un frattale a bordo di una barca:
Se ci avviciniamo troppo alla costa il nostro viaggio sarà molto più lungo e le manovre dovranno essere molto più numerose, mentre se restiamo al largo perderemo di vista il nostro obiettivo.
Se invece sapessimo dove si trova l'obiettivo potremo stare al largo fino ad un certo punto e poi immergerci nella costa frastagliata solo al momento giusto. Per farlo ci serve una formula: nell'esempio fornita da Mandelbrot [2]
e nel nostro caso fornita dal corretto allenamento di un arte marziale.

Conclusione
Il metodo di allenamento che consiglio è quello in cui si presenta la tecnica con il metodo globale, analizzando il contesto di applicabilità e lo scopo.
Successivamente si devono curare i dettagli con il metodo analitico, spezzettando la tecnica e analizzando i movimenti singoli e le loro motivazioni.
Infine si deve tornare a studiarla globalmente in dinamica con l'inoculazione da stress in modo da interiorizzarla.

Note:
[1] Legge di Hick [↩]
[2] Insieme di Mandelbrot [↩]

martedì 10 maggio 2011

I colpi a mani nude

Resistenza
Le ossa del metacarpo sono molto più fragili di quanto si pensi. Per questo motivo tirare un pugno a mani nude può non essere una buona idea se non si regola la potenza: abbastanza per ottenere il risultato voluto ma non troppa per evitare di rompersi le ossa; il target: evitare di colpire la fronte o comunque zone ossee; la traiettoria: avvitata per colpire con le prime due nocche della mano.
Anche con questi accorgimenti è molto facile farsi male, per questo il pugno chiuso bisognerebbe usarlo solo per il training ricordandosi che nel mondo reale possono essere molto più efficaci le dita come nel JKD o il palmo aperto e il pugno a martello come nel panantukan tradizionale o boxe filippina.

Velocità
Quando si tira un pugno è molto importante la velocità di ritorno del braccio coinvolto. Questa importanza è dovuta a due fattori: la necessità di recuperare il più velocemente possibile la condizione di guardia e di approssimare il più possibile un urto elastico.
  1. Quando si cerca di colpire l'avversario si apre una falla nella guardia che può essere sfruttata dall'avversario con un colpo d'incontro che prevede l'ingresso quasi contemporaneo all'arrivo del colpo tirato dall'avversario oppure un colpo di anticipo che sfrutta sia la falla che la "telefonata" ovvero il fatto che il colpo tirato risulta facilmente prevedibile e quindi anticipabile. Un semplice esempio si ha quando il vostro avversario vi tira un gancio con un grosso caricamento e voi lo anticipate con un jeb diretto al volto.
  2. Un urto anaelastico consiste nella collisione tra due corpi che successivamente restano a contatto e continuano a viaggiare alla stessa velocità. Questa condizione prevede una dissipazione di energia in termini di calore.
    Tirare un pugno come fosse una spinta provocherebbe quindi maggiore dissipazione di energia e il danno arrecato diminuirebbe. Ovviamente un pugno non può essere considerato un urto elastico in quanto bisognerebbe considerare le deformazioni dei legamenti dei muscoli e delle ossa coinvolte, però se tirato correttamente, si può minimizzare l'energia dissipata rendendolo molto più efficace.
Consideriamo due masse uguali, una ferma e una in movimento. Quando quella in movimento urta in modo elastico quella ferma la prima si ferma e l'altra acquisisce la velocità della prima. Il momento di contatto tra le due masse è istantaneo e l'energia si trasferisce da una massa all'altra.
Se l'urto è anaelastico quando le due masse si uniscono la velocità finale si dimezza con una dispersione di energia.
Apprendimento
I colpi più studiati scientificamente sono sicuramente quelli del pugilato e per questo sono perfetti per l'allenamento, per lo studio dello spazio e del tempo con lo sparring non condizionato, per lo sviluppo e il controllo della potenza. Parallelamente bisogna però ricordarsi sempre che in un contesto reale senza i guantoni da 10 once ci si può fare male e che il coefficiente di resistenza alla compressione delle ossa colpite può essere maggiore del vostro.
In questo momento entra in gioco tutto quello appreso nel bastone del Kali perchè gli stessi movimenti (sinawali) possono essere replicati a mani nude con il pugno a martello.
Applicare quindi gli insegnamenti del pugilato in termini di velocià, tempi e distanza uniti ai principi del bastone del Kali può fare la differenza tra qualche livido e delle ossa rotte.

Conclusioni
Tirare un pugno a mani nude senza farsi male può essere molto difficile. Per riuscire a dosare la corretta quantità di forza in un contesto reale dove lo stress psicologico ci porterebbe a sfruttare al massimo il nostro potenziale è necessaria una grande preparazione. Anche per questo motivo secondo me l'allenamento pugilistico andrebbe affiancato a tecniche di Kali.

martedì 19 aprile 2011

Panantukan in dinamica

La boxe filippina si presta benissimo allo studio in dinamica, che solitamente si applica al pugilato classico.
Anche se storicamente venivano usati moltissimo i colpi "a martello" che ricordano di più l'uso del bastone, i colpi principali del panantukan moderno sono gli stessi del pugilato: jeb, cross, gancio e montante; a questi si aggiungono gomitate e ginocchiate come nella muay thai, calci, leve articolari e strangolamenti.
Il modo migliore per interiorizzare queste tecniche è l'applicazione dinamica durante uno sparring non condizionato.
Nel video che allego sono visibili alcune sequenze di colpi tirati velocemente e opportunamente rallentati dalla telecamera per permetterne lo studio.

Video di Kali

Allego qualche video interessante girato insieme a Michele con una fotocamera CASIO FH-100 che permette riprese in slowmotion.

venerdì 15 aprile 2011

Ginnastica e Tecnica Pugilistica

Perchè consiglio di praticare pugilato?
Pur non essendo un'arte marziale ed essendo vincolato ad un insieme di regole precise e ad un ristretto numero di colpi, il pugilato fornisce un incredibile fonte di apprendimento in termini di gestione dell'avversario.
Anche a quanto mi confermano persone più esperte di me, le altre arti marziali soffrono di una forte carenza in termini di gestione dinamica dell'aggressione, in quanto la maggior parte delle tecniche non sono riproducibili in palestra per i danni che provocherebbero e quindi si è costretti a simularle rallentando l'azione o assecondando il compagno che le esegue.
Questo rallentamento obbligato, oltre a dare una rappresentazione distorta della realtà, ha un effetto psicologico di rassicurazione che ci ricorda di essere in un ambiente protetto, e che il vostro compagno non farà di tutto per evitare di subire la tecnica.
Quindi, pur continuando a praticare altre arti marziali, indispensabili per apprendere le tecniche sporche, per applicarle, prevederle e prevenirle, un allenamento pugilistico di sparring non condizionato è, a mio avviso, irrinunciabile.

Praticare solo pugilato, limitandosi ai 4 colpi sopra la cintura, lascia scoperti in tutte quelle situazioni in cui l'avversario si arma (coltello, bottiglia, spranga, sedia) o vi prende alla sprovvista.
Praticare solo arti marziali in palestra, accumulando solo tecniche, probabilmente anche efficaci, lascia impreparati durante un'aggressione reale, dove entrano in gioco fattori del tutto nuovi di cui parlerò più avanti.

Per questi motivi sono molto soddisfatto della miniclasse di 4 persone gestita dall'istruttore Michele Rizzo.
Con sole 4 persone l'allenamento può essere costruito in base alle singole esigenze.
Ecco il riassunto di una "lezione tipo":